Come è noto, la Legge Organica 10/2022, del 6 settembre, sulla garanzia completa della libertà sessuale, nota come legge “solo il sì è sì”, ha portato a un cambio di paradigma nei crimini sessuali, sancendo il consenso come asse delle relazioni sessuali e unificando l’abuso e l’aggressione sessuale tradizionale in un unico crimine di aggressione sessuale – imponendo un unico quadro penale per l’ampia gamma di condotte.
Nonostante un ampio settore della società abbia accolto con entusiasmo la nuova legge, il cui spirito, come recita il Preambolo, non è altro che quello di “promuovere la prevenzione della violenza sessuale e garantire i diritti di tutte le vittime”, la sua stesura ha rivelato le carenze tecniche legislative che le nostre leggi talvolta presentano.
Ne è una prova il problema che da mesi occupa e preoccupa i media che, quotidianamente, riportano le revisioni delle condanne in cui vengono ridotte le pene dei criminali sessuali. E, nonostante il fatto che, inizialmente, i Giudici e i Magistrati siano stati individuati per una decisione così disumana, è chiaro che essi, in quanto applicatori e interpreti della Legge, si sono limitati ad applicare la nuova Legge che, per disattenzione, errore o mancanza di conoscenza dei principi fondamentali del nostro sistema giuridico, aveva dimenticato il principio della retroattività delle disposizioni sanzionatorie più favorevoli.
Di fronte a questa situazione di clamore sociale e di dispersione dei criteri nel sistema giudiziario, il 29 marzo il Procuratore Generale ha emesso la Circolare 1/2023, sui criteri di azione della Procura a seguito della riforma dei reati contro la libertà sessuale, specificando che i procuratori riferiranno nei loro pareri sulla non ammissione della revisione delle sentenze definitive quando la pena inflitta nella sentenza è anche passibile di essere comminata secondo il nuovo quadro giuridico, consentendo la revisione in casi eccezionali in cui“questa regola porterebbe a risultati manifestamente sproporzionati“. Tuttavia, nei casi di condanne non definitive, le parti, secondo la Circolare, possono “invocare e l ‘organo giudiziario può applicare i precetti della nuova legge quando sono più vantaggiosi per l’ imputato”.
Probabilmente di fronte ad una situazione così evidente di incertezza giuridica derivante dal trattamento divergente dei Tribunali, la Corte Suprema ha fissato una Sessione Plenaria che si terrà il 6 e 7 giugno, al fine di unificare la dottrina sulla revisione delle condanne definitive. Non è un compito facile per l’Alta Corte, che dovrà cercare di rispondere e coprire la moltitudine di casi che si presentano nella pratica.
Allo stesso tempo, e dopo mesi di logoramento sociale e politico, il 26 aprile, il disegno di legge per una nuova modifica del Codice Penale sui reati sessuali è stato approvato dal Senato ed entrerà in vigore una volta pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dello Stato.
Sebbene la nuova riforma mantenga l’unificazione di abuso e aggressione sessuale, viene introdotto un sottotipo aggravato – con un quadro penale più elevato – per i casi che comportano violenza, intimidazione o commessi contro una vittima la cui volontà è stata scavalcata.
Tuttavia, questa modifica non risolverà il problema della revisione delle pene, poiché, come afferma il suo Preambolo , “è importante notare che questa riforma può essere solo per il futuro, dato che la nuova realtà normativa è stata consolidata, in modo irreversibile, dall ‘effetto della Legge Organica 10/2022, del 6 settembre, sulla garanzia globale della libertà sessuale, sia per i reati commessi prima dell’ entrata in vigore di questa Legge Organica che per quelli che sono stati perpetrati mentre era in vigore”.
Un proverbio italiano dice che “la saggezza viene dall ‘ascolto’. Probabilmente, se il legislatore avesse ascoltato gli avvertimenti lanciati dal Consiglio Generale della Magistratura sull” impatto della legge “solo il sì è sì”, avremmo evitato questo esito devastante.
Sentiamo di più.
Marta Masip.